La storia racconta che ufficiali di cavalleria arrivavano da tutto il mondo per apprendere il metodo rivoluzionario dell’equitazione naturale codificato da Federico Caprilli ma portato avanti e sviluppato dai suoi successori, i grandi esponenti dell’equitazione italiana come Lequio, Ubertalli ed Amalfi che hanno formato cavalieri come i fratelli D’Inzeo che a Piazza di Siena hanno dominato le classifiche per anni.
Il sistema di equitazione naturale nasce per alleggerire il cavallo e renderlo più agile in campagna, dove gli squadroni di cavalleria dovevano confrontarsi quotidianamente con i diversi tipi di terreni, quasi sempre sconnessi.
Qualche tempo fa siamo usciti in passeggiata sulle colline vicino alla scuderia. Ad un certo punto del percorso ci siamo trovati di fronte ad un’ardita discesa da affrontare in sella.Avvicinandosi al pendio un’amazzone ha buttato indietro la schiena e avanti le gambe. Vedendo cosa stava succedendo il responsabile, nonché proprietario dei cavalli, le ha detto di stare avanti col peso e le ha chiesto chi le avesse insegnato ad affrontare così le discese. E la risposta è stata che il suo istruttore le aveva sempre insegnato così.
Allora mi sono informato e ho domandato ad alcuni istruttori di equitazione quale fosse la corretta posizione che un cavaliere deve assumere per affrontare una discesa. Ed è proprio come dice la ragazza perché molti insegnano ad arretrare il peso, qualcuno è indeciso e non sa con precisione cosa fare, pochi, anzi quasi nessuno, insegnano a portare avanti il peso. In generale comunque le indicazioni non sono precise.
L’Italia è uno strano paese come sapete: se si fa una domanda a dieci istruttori tedeschi o francesi riceveremo sempre un’unica risposta ma se facessimo la stessa domanda a dieci istruttori italiani riceveremmo ora dieci risposte diverse, cosa che nell’epoca dei grandi D’Inzeo non accadeva.
Nel libro “Trekking a cavallo” di Mauro Ferraris, edito da Mursia, è presente una parte dedicata proprio alla posizione corretta che il cavaliere deve assumere in sella quando affronta la discesa che può essere lieve, ripida o ripidissima. Questa pagina estremamente chiara non è stata scritta da Ferraris ma lui stesso ha detto di aver chiesto di scriverla ad un istruttore della vecchia guardia, che aveva imparato l’equitazione intesa come arte dell’andare a cavallo dal cavaliere Amalfi e da Sansone poi, figure leggendarie nella formazione equestre italiana del dopoguerra. Quindi questa pagina è stata scritta da un profondo conoscitore del metodo che si è formato nella più ferrea tradizione della scuola di equitazione militare di Pinerolo, che ha avuto come istruttori cavalieri che appartengono alla generazione successiva a quella di Caprilli, che proprio a Pinerolo aveva portato avanti i suoi studi.
Cito testualmente le parole scritte dal dott. Meregaglia:
“[…] Durante la discesa il cavallo allunga vistosamente l’incollatura, abbassa la testa ad osservare il pendìo, inarca le reni e viene sotto di sé con il posteriore per frenare, fin quasi a sedersi in caso di discesa molto ripida. Il cavaliere dovrà assecondare con la mano l’estensione dell’incollatura, inclinerà leggermente il busto in avanti, si manterrà a fior di sella per liberare le reni del cavallo dal peso del suo corpo, dovrà essere ben inforcato e mantenere le gambe in giusta posizione. É necessario evitare di essere avari con la mano, di portare il busto indietro gravando sulle reni, di scappare avanti con la gamba. Questi atteggiamenti, comodi per un cavaliere dall’asseto instabile, richiedono al cavallo un notevole sforzo e alterano il suo equilibrio costringendolo spesso, nelle discese ripide, a sedersi sul posteriore con pericolo di abrasioni. Tale condotta determinerà perdita di contatto e di forza degli arti posteriori con ridotto controllo della massa dell’animale e mancanza totale di mezzi di comunicazione tra cavallo e cavaliere […] Sarà sufficiente esaminare le fotografie del vecchio Tavera di Pinerolo per osservare come i grandi cavalieri del passato, seguendo il metodo naturale caprilliano, affrontavano disinvoltamente la discesa di Bandissero”.
L’equitazione di oggi purtroppo è principalmente finalizzata al risultato della e nell’attività sportiva e questo ha portato la perdita di nozioni che con lo sport non hanno molto a che fare perché non vi trovano applicazione.
L’apprendimento del metodo dell’ equitazione naturale è necessario anche per noi cavalieri della domenica che, nonostante non miriamo ad affrontare un Gran Premio a Piazza di Siena, dobbiamo ugualmente rispettare il cavallo, nostro e a maggior ragione di altri, evitando quanto meno di ostacolare i suoi movimenti se non siamo in grado di agevolarli.
É amaro accorgersi che il metodo “nostro” è più seguito all’estero che a casa nostra; è amaro vedere istruttori che divergono nell’insegnare. Non c’è più uniformità, ognuno dice la usa. Ma sappiamo che storicamente l’Italia non riconosce i migliori.
Di Luca Zignin
Da “I quaderni dell’Alpitrek” anno 1 numero 2 settembre 2009